domenica 18 agosto 2013

Visione monca 2 - L'anno dopo. Bilancio finale su Locarno66

E un altro anno è passato, Locarno ci vediamo tra altri 360 giorni circa. Purtroppo come l'anno scorso, non sono riuscito a vedere tutto quanto, non sono riuscito a vedere tutto quello che volevo e non sono riuscito a stare quanto avrei voluto ma per lo meno sono riuscito ad andare su per molti più giorni e grazie all'accredito stampa ho pagato una bazzecola per vedere davvero tanta tanta tanta roba.
Che bello sentirsi a casa ad un festival così internazionale. Che bello ritrovarlo ancora organizzato così bene e così pieno di eventi, proiezioni, ospiti. Che bello trovare tanta gente come me, appassionata, curiosa, felice di condividere opinioni su un film sperduto taiwanese o su quello provocatorio tedesco. Che bello incappare per caso in giornalisti famosi, attori visti poco prima su schermo o vederli poco dopo e scoprire che avevo a fianco una futura stella. Che bello poter vedere dal vivo dive come Faye Dunaway, mostri sacri come Christopher Lee e Werner Herzog, icone come Anna Karina, maestri come Douglas Trumbull, affamate come Jacqueline Bisset (simpaticissima e vorace). Che bello sentire mille aneddoti sui propri film preferiti, come quelli raccontati da Giona Nazzaro prima di Oz in 3D. Che bello assistere subito dopo la fine del film a un incontro con domande e risposte insieme agli autori e agli attori, per porre tutti i quesiti che covavamo dentro durante la visione. Che bello condividere le emozioni di un film in una piazza gremita da 8000 persone e fare le ore piccole. 
Ovviamente l'anno prossimo sarò ancora qui con la viva speranza, organizzandomi per tempo, di soggiornare fisso e quindi di poter stare più tempo, stancarmi meno e soprattutto evitarmi ore di macchina (per quanto ami guidare). Vale davvero la pena spendere ore e ore su sedie assassine (questo è l'unico difetto) di auditorium enormi, teatri e cinema nuovi e tecnologici, per vivere una decina di giorni di Cinema.

E dato che è finito e che da poco si sanno i nomi dei premiati, due parole. 
Per la sezione corti, dove ho coperto tutti quelli del concorso nazionale, sono molto contento che Vigia di Marcel Barelli sia riuscito ad arrivare secondo e vincere il pardino d'argento, mentre grande sorpresa per la vittoria "all'unanimità" di 'A iucata perchè io credevo moltissimo in Alfonso. Insomma una vittoria che parla molto italiano (anche per quanto riguarda il concorso internazionale).
Sai nam tid shoer (By the river), che ho giudicato acerbo e senza una precisa direzione, ottiene una menzione speciale dalla giuria Cineasti del presente.

Complimenti a Carlo Chatrian, un po' impacciato ma è pur vero che era alla sua prima volta e quindi migliorerà e si sentirà meno rigido, grazie per averci ospitato, per aver messo su una edizione ricca come sempre. E grazie ai tanti che hanno contribuito, da Giona Nazzaro a Roberto Turigliatto, da Chris Fujiwara a Emmnauel Burdeau e tanti altri. E grazie Locarno, cittadina come al solito splendida, caldissima, -ma siamo a agosto- che sembra fatta apposta per ospitare eventi del genere. D'altronde, basta poco per fare un buon lavoro. Bravi comunque. Viva Locarno!

Visto che dei corti ho già parlato ampiamente così come degli ospiti e degli speciali, ora spenderò due parole su i pochi film in concorso visti e quelli di cui finora non ho parlato.

The dirties di Matt Johnson.
In una parola geniale, peccato che non sia nel concorso principale ma solo in quello dei cineasti del presente. Dovrebbe essere preso ad esempio da tutti quei giovani che si cimentano per la prima volta con il cinema, perchè trasforma i propri difetti in un punto di forza, rivendicando le proprie imprecisioni, i propri errori come voluti, per dare maggiore realismo. E poi non si prende mai sul serio, parlando e finendo per parlare tuttavia di un tema molto importante e tuttora all'ordine del giorno in America. 
Geniale poi perchè eternamente sospeso tra finzione e realtà, chi filma chi, quando è film e quando è documentario, quando è vero e quando è finto (e il protagonista, anche regista, Matt, che offre i popcorn alla telecamera è la ciliegina finale). E il suo grande punto di forza finale è quello di avere un'idea sotto, cosa che molti giovani neanche concepiscono, ma si limitano a copiare e a buttarla in caciara. Spero vinca ma ho visto poco poco.

Tonnerre di Guillame Brac.
Ho visto dal vivo e a pochi cm Solène Rigot, e mi poteva bastare questo per essere strafelice. Mi ero innamorato di lei già dopo 17 filles e qui per un bel po' non l'ho riconosciuta. Si adesso dire che è bruttina, ma non riuscirete a mettervi tra il nostro amore! Sproloquio da folle finito. 
Mi è piaciuto molto, nonostante nel finale si trascini troppo (ma voglio incolpare le sedie). Si divide in due parti distinte, una prima con grande ritmo, divertente, trascinante e una seconda molto cupa e lenta. E' un film che non crede evidentemente nell'amore (come sentimento tra due persone), ed anzi lo mostra come un sentimento terribile, disgustoso, e quando finisce porta a compiere le peggiori azioni. Non possiamo avere nessuna certezza che la persona che è con noi ci amerà sempre, che non cambi mai idea. E quando finisce c'è poco da fare. Cast composto da 3 bravissimi attori, fra tutti il protagonista, Vincent Macaigne e i suoi strani capelli, in una prestazione intensa in tutte le sue parti, poi Solène Rigot ancora tanto giovane ma già lanciata e il divertentissimo Bernard Menez, ottimo diversivo comico.

L'Étrange Couleur des larmes de ton corps di Hélèn Cattet e Bruno Forzani.
Se fosse durato due minuti forse sarebbe stato il mio film preferito. Già avevo mal digerito, anzi per niente gradito Amer, e questo non cambia certo registro ne mi fa cambiare idea. Non amo il genere, non amo lo sperimentalismo estremo, se supera appunto i due minuti, semplicemente ci troviamo su due pianeti diversi.
Paradossalmente, nonostante sia molto più sperimentale di Amer, l'ho gradito maggiormente, soprattutto dal lato tecnico (bè ovvio, contenuti non ce ne sono), con un lavoro svolto sul sonoro pazzesco, tanto che visto a casa, senza un impianto serio, perde quasi tutta la sua bellezza.
Ricorre a delle soluzioni interessantissime, è ben fatto, ma mi lascia senza una vera opinione. A fine film ho semplicemente detto "Non è che non mi dice niente, ma non ha nulla da dire". Sarò un commesso del McDonald ignorante, ma è anche vero che i fan dell'horror sono ormai annoiati e cercano cose simili, diverse dal mucchio, aldilà della qualità finale.

Mary Queen of Scots di Thomas Imbach.
Se Elizabeth ha avuto la sua quasi trilogia è giusto che anche Mary abbia il suo film (omonimo a quello anni 70 con Vanessa Redgrave e Timothy Dalton). E come giusto che sia, dice la sua sull'eterna querelle tra le due cugine: chi voleva fare fuori chi e chi era la buona delle due? Ci sono molte teorie, molti complotti, forse nessuna delle due odiava l'altra, ma l'entourage che avevano attorno fece di tutto per provare il contrario.
Ineccepibile dal lato visivo, grazie agli scorci della Scozia, al clima uggioso (Mary ma vuoi proprio essere regina di sta terra dimenticata?), alle passeggiate nelle foreste e ai voli pindarici della mdp, metafora della condizione psicofisica di Mary, forse lascia un po' a desiderare sul lato storico non per errori, ma per mancanze.
Un film cupo, freddo, da cui ti aspetti da un momento all'altro che esca da dietro a un albero o un angolo Russell Crowe (oh, fino alla fine l'ho pensato).Verso la fine il mio sedere non ce la faceva più, tanto da desiderare la decapitazione di Mary il più presto possibile.
Molto brava Camille Rutherford nel non facile compito di recitare in inglese e in francese (sua lingua madre) con naturalezza e senza accento. 

Shu jia zuo ye (A time in Quchi) di Tso-chi Chang.
Finalmente gli asiatici, titolava la stampa locale, difatti l'ultimo giorno è stato il turno di Taiwan, Cina e Giappone. In effetti ho inseguito un film di questa parte del mondo fin da inizio concorso, e devo dire che questo taiwanese non mi ha deluso. Un toccante e delicato racconto sull'estate di un ragazzino passata dal nonno in campagna. Molto spesso solo, con due genitori impegnati sempre al lavoro, sta crescendo scontroso e taciturno e con come unico amico un IPad. Il periodo in campagna lo riporterà ad essere un vero bambino, e riscoprirà la gioia di correre, di farsi nuovi amici e di staccarsi dai videogiochi. Dietro l'angolo però, come in molti film asiatici simili, c'è la tragedia. Forse non ha il tocco di un Kitano o la sua regia, ma è un buon film.

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