giovedì 8 agosto 2013

Sai nam tid shoer (By the river) di Nontawat Numbenchapoi - Locarno66

Concorso Cineasti Del Presente.

Secondo lungometraggio del giovanissimo regista thailandese classe 1983 (sembra addirittura più giovane dal vivo) laureato in comunicazione visiva all'università di Bangkok. Come per il suo primo lavoro Boundary (Fahtum pandinsoong, presentato al festival Berlino quest'anno) ci troviamo di fronte a un'opera a metà tra il documentario e il film vero e proprio. Un confine labile tra presenza di una sceneggiatura o totale assenza, attori veri o semplici indigeni del posto, struttura vera e propria concordata a tavolino o semplice lavoro di cronaca.
By the river (me la cavo velocemente senza ripetere il titolo originale) è un film politico, di denuncia. Si sviluppa nel cuore della foresta tropicale, all'interno della provincia thailandese di Kanchanaburi,  e più precisamente nel piccolo villaggio Klity. Gli abitanti (il regista in fase di presentazione ci ha tenuto a precisare come vivano senza una connessione internet, senza cellulari o apparecchi di alta tecnologia) hanno sempre condotto una vita serena divisa tra la pesca nel vicino torrente, che arriva fino a Bangkok, e la vita in famiglia. Tutto cambia quando il corso d'acqua viene inquinato dalla fabbrica di un imprenditore senza scrupoli e senza rispetto per l'ecosistema. Il film dopo una cornice riassuntiva della vita del villaggio, racconta brevemente come sia cambiata la vita per gli abitanti della zona e soprattutto il processo inutile in quanto non ha risolto niente.
Purtroppo By the river è un'opera abbastanza acerba, di un semi esordiente a cui è evidente quanto stia a cuore la condizione della propria gente, ma che non è in grado, per conoscenze e per esperienza, di mettere in piedi un film di denuncia completo e diretto. Rimane quindi senza una vera e propria direzione precisa e finisce per essere abbastanza inconcludente. E' eternamente sospeso infatti tra due vie; le infinite riprese paesaggistiche della vita tranquilla nella foresta, a camera fissa, con il corso d'acqua che scorre serenamente e i personaggi che contemplano il proprio futuro, (molto ben girate grazie all'ottima fotografia di Withit Chanthamrit la cosa migliore insieme a certe riprese subacquee in soggettiva dei pescatori) ed una denuncia abbastanza debole e con poco spazio, costituita quasi interamente da delle brevi scritte in sovra impressione riassuntive della situazione e alcune riprese (o riproposizioni) del processo farsa, dove gli avvocati si sono semplicemente limitati a consigliare di "non pescare il pesce inquinato e mangiare altro, o se proprio si vuole il pesce, comprarlo". Si, ma con quali soldi?
Insomma, un tema che si prestava a bordate ben più possenti ma che si ferma molto prima, dando un quadro generale, interessante certamente, ma privo di mordente. Non solo non da e non cerca di dare soluzioni, ma non fa nient'altro, forse perché alle prese con un'idea troppo vaga e inconsistente. Rimandato a settembre.

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